Un indaffarato agente di commercio, a due giorni dal Natale, non può immaginare che sorpresa gli riserverà un’esigenza fisiologica tanto urgente quanto improvvisa. È una sosta, infatti, che lo porta a scoprire un cadavere abbandonato in un fosso alla periferia di Modena. E il ritrovamento è di quelli che fanno scalpore, perché il morto è Franco Guidolin, giovane sommelier di belle speranze e sposo imminente dell’unica figlia di Oscar Pioli, proprietario della più grande azienda vinicola modenese e prossimo candidato alle elezioni a sindaco della città.
Una vera patata bollente, quindi, per il giovane commissario Giovanni Torrisi, davanti al quale si aprono via via fin troppe piste: dai segreti familiari di Guidolin al passato sentimentale della sua fidanzata, dai rancori professionali che coinvolgono i Pioli alle incognite politiche e fiscali che complicano l’inchiesta. E quando un secondo omicidio, più efferato del primo, e un brutale rapimento arrivano a inquinare ancor più la scena, Torrisi dovrà inevitabilmente scavare nel passato di tante persone, tra vizi privati e pubbliche virtù, a rischio della sua stessa vita e al culmine di una storia d’amore mai così intensa e drammatica, fino alla scoperta di una verità che sarà sconcertante e amarissima.
Il cielo della notte non è affatto nero. È di un soffice grigio antracite, quasi gessoso se c’è un po’ di inquinamento.
Ma adesso tutto si sta trasformando lentamente. Alle sette del mattino, a Modena, un filo di luce rischiara di pochissimo via Santa Caterina. L’uomo è appena stato a ritirare la sua auto alla carrozzeria di via Malavolti, d’accordo col proprietario che è un amico e ha aperto presto proprio per lui. Sa che la macchina è troppo importante, col suo mestiere di agente di commercio.
Ma ora, di colpo, rimpiange una cosa. Di non essersi fermato a pisciare in officina, quando poteva. Dà un’occhiata al cruscotto: lunedì 23 dicembre, tre gradi sopra zero. La minaccia del freddo e la premura di cominciare il solito giro dei clienti lo inducono a un tentativo. Stringe lo sfintere per trattenere l’orina, ma non ci riesce del tutto, e alcune gocce le sente schizzare fuori sul tessuto delle mutande.
Deve decidersi. È già in fondo alla strada, quando si guarda intorno. Vede, di fronte, la tangenziale, e qualche faro acceso che scivola via. A sinistra, un prato incolto spruzzato di neve, e una fabbrica di articoli per bagno, con le luci tutte spente. Non c’è nessuno in giro.
C’è uno slargo, sulla sua destra, sgombro. E un cartello soltanto, Divieto di scarico, contraddetto da un sacco nero da netturbini, abbandonato, da cui traboccano dei calcinacci.
È il posto adatto. Spegne il motore, afferra il cappello nero sul sedile di fianco, calcandoselo in testa, alza le spalle come per puntellare il corpo sotto il peso del freddo e saltella fino al ciglio della strada, i piedi sul cordolo, le dita già intente ad abbassare la cerniera. Nel farlo spinge il corpo un po’ in avanti, verso una specie di fosso, profondo, invisibile dalla strada, pronto a dirigere lì il getto da liberare con urgenza. Quasi a cercare un corpo vivo e sgusciante, la sua destra entra nella patta, trova l’apertura dello slip e cinge il sesso caldo. Nessun rumore ai suoi lati, e neanche davanti o dietro; non deve nemmeno voltarsi. Estrae il membro, tenendolo con due dita, e man mano che si svuota la vescica si sente bene, quasi felice.
Fermo sui talloni, a gambe divaricate, adesso guarda in giù, seguendo la parabola finale del suo zampillo. E all’improvviso nota qualcosa. In fondo al fosso, nella luce ancora incerta. Una forma indefinita, quasi sommersa; più grande di un fagotto. Gli occhi si sforzano di vedere meglio, la mente di capire. Finché riconosce una mano, strana, bruna, le dita lunghe e sottili come zampe d’insetto.
Inorriditi, gli occhi scorrono dalla mano alla manica infangata di una giacca riempita dal braccio di un uomo, poi alla giacca intera, e al cadavere, bocconi, seminascosto da terriccio, brina e sterpaglie.
Il ribrezzo gli spalanca la bocca. La richiude. Si accorge solo ora del suo membro, di colpo flaccido, fra le dita, raggrinzito per il freddo, e lo ricaccia in fretta nel suo guscio. Poi torna sui suoi passi, di corsa, e si chiude in macchina.